PATOLOGIE DEL GINOCCHIO
ARTROSI
L’osteoartrosi o artrosi è una malattia articolare cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico delle cartilagini delle articolazioni diartrodiali.
Queste sono articolazioni mobili fornite di cartilagine, membrana e liquido sinoviale, tutte strutture che, insieme all’osso subcondrale, possono essere coinvolte nell’artrosi in un momento qualsiasi della malattia, contribuendo al suo sviluppo e alla sua evoluzione.
E’ una malattia fortemente invalidante, perché responsabile di dolore continuo e impotenza funzionale articolare fino all’immobilità. I costi sociali di questa malattia sono enormi.
In Italia l’artrosi rappresenta oltre il 72% di tutte le malattie reumatiche e si ritiene che almeno 4.000.000 di persone ne siano colpite.
L’invecchiamento progressivo della popolazione fa prevedere nei prossimi decenni un ulteriore incremento del numero dei pazienti affetti.
Semplicisticamente è possibile suddividere l’artrosi in primaria, senza apparente causa specifica se non l’invecchiamento, e secondaria, in relazione a traumi, anomalie congenite, alterazioni biomeccaniche, malattie metaboliche dell’osso, esiti di artriti.
GONARTROSI
La gonartrosi è l’ottava patologia più frequente in entrambi i sessi, con una prevalenza del 10,1% negli individui al sopra dei 65 anni. Fattori di rischio specifici per lo sviluppo dell’artrosi del ginocchio sono l’obesità, i traumi distorsivi del ginocchio associati a lesioni capsulo-legamentose, soprattutto del legamento crociato anteriore, gli interventi di meniscectomia, e l’attività sportiva ad alto impatto. Colpisce maggiormente soggetti di sesso femminile e può interessare sia l’articolazione femoro-rotulea che la femoro-tibiale. Il quadro clinico è inizialmente dominato dal dolore in sede anteriore o antero-mediale, caratteristicamente di tipo meccanico, che si attenua con il riposo. Dopo una lunga inattività, per esempio al mattino o dopo essere stati seduti a lungo, può aversi una contrattura muscolare e capsulare dolorosa che rende difficoltoso il passo. Ha comunque breve durata e si attenua con la marcia. Il dolore può essere risvegliato nel fare le scale, in discesa o con l’accovacciamento. All’esordio si può trovare anche una dolorabilità delle zone periarticolari e un versamento più o meno abbondante. Successivamente il dolore può interessare tutta l’articolazione, diventare notturno e accompagnarsi a frequenti versamenti articolari.
L’impotenza funzionale appare solo tardivamente, ma senza peraltro arrivare ai gradi raggiunti dalla coxartrosi, pur in presenza di un notevole disassamento in varismo o in valgismo. Dal punto di vista obiettivo, si riscontra una limitazione dolorosa dei movimenti di flessione e di estensione, rumori di scroscio e dolorabilità extrarticolare.
Gli aspetti radiologici più rilevanti e caratteristici dell’artrosi non sono molti: riduzione della rima articolare, sclerosi dell’osso subcondrale nelle zone sottoposte a carico, geodi ed osteofiti sono gli elementi più rilevanti. Specialmente all’esordio questi segni non sono evidenti o sempre presenti. Nel caso di osteoartrosi secondaria lo sviluppo dei tipici quadri radiologici può instaurarsi su precedenti modificazioni, come per esempio nelle malformazioni o nell’artrite. In questi casi i controlli periodici, dopo una diagnosi precoce, possono dimostrare l’evoluzione verso l’artrosi che alla fine potrà manifestarsi con aspetti indistinguibili dalle forme primitive.
Riguardo lo studio delle articolazioni da carico, quali ginocchio e anca, è fondamentale analizzare per l’appunto le articolazioni quando sono in carico e cioè in piedi, e sempre in comparativa con l’articolazione controlaterale.
Per la gonartrosi è fondamentale avere a disposizione una radiografia comparativa in carico di entrambe le ginocchia nelle proiezioni antero-posteriore (AP) e latero-laterale (LL), assieme alla proiezione di Rosenberg (in carico a ginocchia semiflesse) ed alle assiali di rotula. Molto utile per capire l’asse articolare è la radiografia degli arti inferiori in carico. Per completare lo studio dell’articolazione, ove mai ve ne fosse bisogno, può risultare utile una risonanza magnetica, che può evidenziare concomitanti lesioni dei tessuti molli, fratture misconosciute alla RX, o sofferenze acute dell’osso subcondrale (come può avvenire nell’osteonecrosi). Di scarsa, se non nulla, utilità sono sia la TAC che l’ecografia.
A seconda del grado di artrosi che si evince dagli esami strumentali e dall’esame clinico, si può propendere per un tipo di terapia che sia conservativo oppure chirurgico.
Diversi sono i trattamenti che precedono la chirurgia, sia di tipo farmacologico che fisiochinesiterapico.
Per contrastare il sintomo dolore si usano farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che sono somministrati per bocca o per via intramuscolare. Naturalmente il paziente trae beneficio dal trattamento, che però non è risolutivo e soprattutto non può essere continuato per lungo tempo a causa dei noti effetti collaterali di tipo gastrolesivo ed ipertensivante di tali farmaci. Altra opzione terapeutica è l’uso di integratori della cartilagine o condroprotettori che si dimostrano relativamente utili quando il danno è minimo, ma non risultano avere efficacia quando è presente una danno avanzato.
A livello dell’articolazione è possibile poi praticare infiltrazioni. Si può usare il cortisone, che sicuramente essendo l’antinfiammatorio per eccellenza ridimensiona sia il dolore che l’infiammazione, ma a livello locale è possibile un’unica somministrazione per evitare un effetto ulteriormente deleterio sulla cartilagine articolare. E’ bene ricordare che si tratta di un farmaco a cui non si può ricorrere per tutti i pazienti (controindicato negli ipertesi, nei diabetici ed in chi ha infezioni in atto).
In alternativa si può praticare un ciclo infiltrativo a base di acido ialuronico, normale componente del liquido articolare, che legando acqua reidrata e rinvigorisce la componente cartilaginea non ancora deteriorata. La terapia comprende da una a tre infiltrazioni nel giro di una/tre settimane consecutive o meno, con farmaci dal peso molecolare diverso a seconda della gravità della patologia (a patologia più marcata corrisponde una tipologia di acido ialuronico più pesante) dopo le quali il paziente, in caso di corretta indicazione, gode di un periodo di beneficio di almeno 6 mesi. Ove mai il benessere post-infiltrativo sia inferiore a 5-6 mesi è bene considerare un cambio di strategia terapeutica
L’opzione terapeutica fisiokinesiterapica si avvale principalmente del rinforzo muscolare dei muscoli glutei e della coscia coadiuvato allo stretching di tutta la muscolatura posteriore dell’arto inferiore, in modo da contrastare l’atteggiamento in flessione che è l’aspetto più sconveniente da vincere nei casi di artrosi delle articolazioni del ginocchio e dell’anca. Si avvale, inoltre, del trattamento con campi magnetici pulsati (c.e.m.p.), che vanno a stimolare la produzione di nuova matrice cartilaginea. Particolarmente utile è anche la terapia con onde d’urto focalizzate (ESWT), che permettono la riduzione del processo infiammatorio locale e soprattutto un aumento della vascolarizzazione nella zona trattata, migliorando quindi la qualità del tessuto osseo e sinoviale a fine trattamento.
Il vantaggio di tali trattamenti rispetto a quello farmacologico è rappresentato dall’assenza di significativi effetti collaterali o controindicazioni salvo rari casi (infezioni in corso, patologie tumorali, fragilità vascolare, ecc), ma comunque l’indicazione terapeutica è abbastanza ristretta: il trattamento va a preservare l’integrità e la funzionalità della cartilagine articolare ancora presente, ma non può ricostruire una cartilagine già gravemente danneggiata.
L’OSTEONECROSI
L’osteonecrosi è una condizione di sofferenza vascolare dell’osso in prossimità dell’articolazione che si accompagna a sintomatologia dolorosa articolare. La sede preferenziale di sviluppo è la testa del femore, seguita dal condilo femorale mediale. In alcuni casi può essere secondaria a terapie protratte con chemioterapici o cortisonici, a traumi – presentandosi come complicanza a distanza di fratture o lesioni vascolari – o anche a radioterapia, ma nella maggior parte dei casi la causa scatenante resta ignota.
La sintomatologia che si manifesta è analoga a quella artrosica, ingravescente e che varia da lieve ad invalidante. E’ possibile nelle prime fasi approcciare al problema con terapia conservativa (es.onde d’urto) per tentare di rallentare il progredire della patologia, ma nelle fasi finali della malattia, quando i capi articolari divengono artrosici e deformi, l’unica soluzione risulta essere l’impianto protesico.
LESIONI MENISCALI
I menischi (mediale e laterale, o anche interno ed esterno) sono 2 strutture fibrocartilaginee a forma di C che aiutano l’ammortizzazione dei carichi e la stabilità articolare.
Ricevono solo una parziale vascolarizzazione lungo il loro perimetro capsulare (zona rossa), pertanto le lesioni a carico della porzione non vascolarizzata (zona bianca) non possono cicatrizzare.
Il meccanismo di lesione meniscale è quasi sempre traumatico e può essere legato ad un trauma sia distorsivo che contusivo.
Il meccanismo più comune è legato ad una compressione articolare associata ad una rotazione od una flesso-estensione (es. alzata da accovacciamento).
Il menisco mediale è più frequentemente coinvolto rispetto al laterale, ed in particolare nella porzione del corno posteriore. Il tipo di dolore varia a seconda della lesione e può variare da lieve a insopportabile, comportando in alcuni casi anche un blocco articolare in flessione (lesione a manico di secchio). E’ frequente riscontrare periodi di completo benessere intervallati da periodi di fastidio acuto.
Le lesioni degenerative invece, dette meniscosi, non sono delle vere e proprie rotture meniscali e, al pari dell’artrosi, sono un segno di invecchiamento articolare.
La diagnosi è posta con una concordanza tra positività a test clinici specifici ed evidenza di lesione in RMN. La TAC, che non ha la stessa qualità di risoluzione sul tessuto meniscale, risulta utile nei soli casi in cui è controindicata l’esecuzione della risonanza magnetica. RX ed ecografia, invece, risultano superflue.
LESIONI LEGAMENTOSE: CROCIATO ANTERIORE (LCA) E POSTERIORE (LCP)
I legamenti crociati del ginocchio (LCA e LCP) hanno la funzione di stabilizzare l’articolazione nei movimenti torsionali e nella traslazione in senso antero-posteriore. Non essendo provvisti di una buona vascolarizzazione, non è possibile ottenere una buona guarigione autonoma della lesione e si rende necessario intervenire sostituendo il moncone cicatriziale residuo con un innesto tendineo.
Il meccanismo di lesione è traumatico e può essere sia di tipo contusivo che di tipo distorsivo. Il meccanismo più frequente di lesione del LCA in chi pratica sport è quello di rotazione del corpo con piede piantato al suolo (trauma in valgo-rotazione esterna e/o varo-rotazione interna), oltre che iperestensione forzata, o anche contrazione del quadricipite con ginocchio flesso (atterraggio dopo salto).
La sintomatologia è inizialmente dominata dal gonfiore e dal dolore che tende a diminuire nel tempo fino anche a sparire, lasciando il campo ad una sensazione costante di instabilità articolare soprattutto rotatoria (descritta spesso da parte del paziente come “sensazione che il ginocchio venga meno”).
La diagnosi è posta con una concordanza tra positività a test clinici specifici ed evidenza di lesione in RMN. La TAC , che non ha lo stessa qualità di risoluzione sui legamenti, risulta utile nei soli casi in cui è controindicata l’esecuzione della risonanza magnetica. In RX è possibile evidenziare eventuali lesioni secondarie (es. frattura di Segond del tubercolo del Gerdy). L’ecografia, invece, risulta superflua.
LESIONI CARTILAGINEE
La cartilagine articolare è il tessuto di sostegno che riveste i capi articolari. E’ bianca e lucida, ricca in acido ialuronico e non possiede una sua propria vascolarizzazione, ricevendo nutrienti dal liquido sinoviale articolare.
La mancanza di vascolarizzazione comporta un’incapacità di autoriparazione del tessuto, che rende il danno condrale, focale od esteso, una condizione irreparabile.
La diagnosi di lesione condrale è posta con una concordanza tra positività a test clinici specifici ed evidenza di lesione in RMN. La TAC , che ha una qualità di risoluzione sulla cartilagine articolare pressoché nulla, risulta utile nei soli casi in cui è controindicata l’esecuzione della risonanza magnetica.
In RX è possibile evidenziare, nei danni estesi, eventuali sofferenze marcate dell’osso subcondrale con una sua rarefazione. L’ecografia, invece, risulta superflua.